Vita di lago
I venti
I pescatori sapevano prevedere il mutare delle condizioni meteorologiche leggendo i movimenti delle nuvole e osservando la provenienza delle correnti d’aria. La loro vita e la sicurezza della barca dipendevano infatti dalla capacità di conoscere i venti e il loro effetto sul lago. Ecco i venti che da secoli soffiano sul Ceresio.
- La breva, che generalmente si alza a metà mattina e si esaurisce verso sera. È di debole intensità. Soffia da Porto Ceresio fin sotto il Monte Brè e marca sempre bel tempo sul lago.
- La Caronasca, che scende da Carona verso Campione. È un vento temporalesco, che soffia forte fin quando scoppia il temporale. Si calma con l’arrivo della pioggia.
- La Porlezzina, che soffia da Porlezza in direzione di Paradiso e indica temporali dalle parti di Chiavenna, Sondrio e sul lago di Como.
- La Tramontana, che scende al tramonto dalle montagne che contornano il lago.
- Il Pontetresa, vento temporalesco che esce dal golfo di Ponte Tresa-Laveno (non Lavena?) e può creare parecchie difficoltà nella navigazione.
- Il Marino, vento temuto dai pescatori poiché può raggiungere anche i 120 km orari e formare onde alte. Soffia da Capolago verso Melide e da Porto Ceresio ad Agno.
- Il Vento del Nord, vento gelido che scende dal Monte Bar e dalla valle del Vedeggio verso Porto Ceresio e può raggiungere i 90-100 km orari.
- Il Tivano, vento temporalesco che scende da Osteno verso le falde del Monte Brè e forma tipici mulinelli che sollevano l’acqua come pulviscolo fino a 50-100 metri di altezza. Non è molto frequente ma può mettere in difficoltà anche grosse imbarcazioni.
Il barcaiolo
Fra i mestieri legati al lago vi era quello del barcaiolo, che durò dal 1819 al 1847, cioè quando era in funzione il traghetto tra Bissone e Melide. Con la costruzione del ponte diga (1847), questa attività cessò. Per il trasporto di gente e materiali, i barcaioli si servivano di un barcone di notevoli dimensioni sul quale venivano caricati bestiame, merci, perfino la diligenza che faceva servizio da Flüelen a Camerlata. Chi desiderava fare il barcaiolo doveva annunciarsi al Municipio, al quale spettava la scelta dei candidati, che dovevano essere patrizi e di costituzione robusta. Per garantire un funzionamento continuo del traghetto, occorrevano venticinque persone. A Bissone, il traghetto attraccava presso l’attuale Albergo La Palma. Per dare un’idea dell’intensa attività dei traghettatori, riportiamo i dati relativi ai trasporti da Melide a Bissone durante i primi cinque mesi dell’anno 1843: 17’217 persone, 2825 carrozze, 51 carri a quattro ruote, 6244 colli e sacchi di merce, 461 cavalli, 3694 somari e bovini.
Le barche
Due sono le barche tradizionali ceresiane: il barcone da carico, ormai scomparso dalla circolazione (detto barcón, porto o cumball) e la barca da pesca ad arcioni (detta navétt, barchétt, o barca piata).
Il cumball era una barca di grandi dimensioni (14-18 metri di lunghezza e 4-6 di larghezza) e veniva impiegato per trasportare merci, persone, animali e materiali.
La pesca sul lago Ceresio
Nelle località di lago, per diversi secoli la pesca è stata l’alternativa all’emigrazione. A Bissone le terre coltivabili erano poche, non pianeggianti, utilizzate soprattutto per la coltivazione della vite e dell’ulivo. Per molte famiglie, la pesca era l’unica fonte di guadagno. Ancora prima della Seconda guerra mondiale, una ventina di famiglie bissonesi viveva di sola pesca.
Fin da tempi remoti l’attività della pesca fu strettamente regolamentata. Già nel medioevo i pescatori bissonesi erano sottoposti a tasse da versare al Ducato di Milano. A ogni rete veniva applicato un bollo a comprova del pagamento avvenuto e della qualità della rete. Specialmente nei periodi di fregola venivano emanate leggi severe, allo scopo di salvaguardare il patrimonio ittico. Le sanzioni per i trasgressori andavano dalla semplice multa alla confisca delle reti illegali, fino alla distruzione della barca. Il solo possesso in casa di reti proibite era considerato reato.
La pesca con le esche
Fra i tipi di pesca senza reti ricordiamo la tirlindana e la spaderna.
La tirlindana è un sistema di pesca che si effettua con la barca in movimento. E’ composta da un lungo filo (60/120 mt.) di nylon appositamente piombato detto madre; da questo partono 6/12 spezzoni di filo lunghi 9 metri circa, detti rami. Alla fine dei rami vi sono le esche che sono delle lamierine lucide appositamente sagomate che con il movimento simulano un pesciolino vero. Risulta subito evidente che importantissima è la giusta velocità della barca che deve dare il giusto guizzo al pesciolino finto. Importante risulta anche la conoscenza dei fondali per evitare il rischio di impigliare l’esca in qualche rottame.
La spaderna si fonda sullo stesso principio della tirlindana. Tuttavia, al contrario della tirlindana, la spaderna era un tipo di pesca fissa, usata in periodi particolari dell’anno per la pesca delle anguille. A un filo portante lungo 50-100-150 metri si annodano dei fili laterali lunghi circa 50 centimetri, muniti di amo e di esca. Il filo portante è sostenuto da galleggianti ogni 15-20 metri, così da formare dei festoni. Prima che comparissero le esche finte, i pescatori sapevano utilizzare le esche più disparate a seconda del tipo di pesca: polenta senza sale, patata bollita schiacciata, pezzi di pelle a forma di pesciolino, lombrichi, larve, maggiolini, grilli, formaggio, insomma tutto ciò che la natura poteva offrire.
La pesca con le reti
Le prime reti utilizzate nei nostri laghi erano di canapa, lino e pefino di seta. Poi subentrò il cotone, e infine il nylon, più resistente, duraturo e praticamente trasparente in acqua. Le reti in uso nel Ceresio erano di quattro tipi:
- quelle usate al centro del lago per la cattura di trote, coregoni, agoni e alborelle. Un esempio è la bedina, rete lunga fino a 130 metri e alta 35, che veniva calata da due barche, che poi manovravano formando una sorta di sacco dove i pesci restavano imprigionati;
- le reti di fondo, usate per la pesca a riva. Ad esempio, l’antanèla, lunga 15-20 metri e alta circa uno, con piccoli ciottoli al piede;
- le reti a mantello, come ad esempio il tremagín (triplice rete a maglie diverse), usato come rete di fondo specialmente per la cattura di pesce persico, tinca, carpa e luccio; è una rete che si tende verticalmente per mezzo di piombi sul lato inferiore e di sugheri sul lato superiore.
- le reti a sacco, come la bottéra, lunga 50-60 metri con ali a sacco e maglie strettissime, sugheri in testa e molto carica di piombo al piede.
Dopo l’uso, le reti venivano riordinate, ripulite dalle alghe, riparate e fatte asciugare su una fila di pali infissi sulla riva. Per questi lavori, il pescatore coinvolgeva tutta la famiglia